Ora vediamo bene di cosa parla questo libro e i vari contenuti in più.
Titolo: Entra nella mia vita
Autore: Clara Sànchez
Editore: Garzanti
Pagine: 448
Prezzo: 18,60 euro
Trama:
Madrid. Il sole estivo illumina la casa piena di fiori. È pomeriggio e
la piccola Veronica approfitta di un breve momento di solitudine per
spiare tra le cose dei genitori.
Apre una cartella piena di documenti, e scorge una foto. La estrae con la punta delle dita, come se bruciasse.
Non l'ha mai vista prima. Ritrae una ragazzina poco più grande di lei, con un caschetto biondo, una salopette di jeans e un pallone tra le mani. Veronica è confusa, ma il suo intuito le suggerisce che è meglio non fare domande, non adesso che la mamma è sempre triste.
Anno dopo anno, Veronica si convince sempre più che le discussioni e i malumori in casa sua nascondano qualcosa di cui nessuno vuole parlare. E che l'enigma di quella foto, di quella bambina sconosciuta, c'entri in qualche modo.
Ma quando Veronica diventa una donna, decisa e tenace, non può più fare finta di niente. La malattia della madre la costringe a fare i conti con un passato di cui non sa nulla, un passato rubato che la avvicina sempre di più alla bambina misteriosa della fotografia. Ritrovarla è l'unica strada per raggiungere la verità. Una verità che, forse, ha un prezzo troppo alto. E quando Veronica trova la bambina, ormai una donna anche lei, capisce che la strada è tutt'altro che percorsa, che il mistero è tutt'altro che svelato. Ma soprattutto capisce che c'è qualcuno disposto a tutto pur di ostacolarla nella sua ricerca. Non le rimane che affidarsi a sé stessa, al suo intuito e al suo coraggio. Perché districare il groviglio di bugie e manipolazioni sarà molto, molto pericoloso.
Apre una cartella piena di documenti, e scorge una foto. La estrae con la punta delle dita, come se bruciasse.
Non l'ha mai vista prima. Ritrae una ragazzina poco più grande di lei, con un caschetto biondo, una salopette di jeans e un pallone tra le mani. Veronica è confusa, ma il suo intuito le suggerisce che è meglio non fare domande, non adesso che la mamma è sempre triste.
Anno dopo anno, Veronica si convince sempre più che le discussioni e i malumori in casa sua nascondano qualcosa di cui nessuno vuole parlare. E che l'enigma di quella foto, di quella bambina sconosciuta, c'entri in qualche modo.
Ma quando Veronica diventa una donna, decisa e tenace, non può più fare finta di niente. La malattia della madre la costringe a fare i conti con un passato di cui non sa nulla, un passato rubato che la avvicina sempre di più alla bambina misteriosa della fotografia. Ritrovarla è l'unica strada per raggiungere la verità. Una verità che, forse, ha un prezzo troppo alto. E quando Veronica trova la bambina, ormai una donna anche lei, capisce che la strada è tutt'altro che percorsa, che il mistero è tutt'altro che svelato. Ma soprattutto capisce che c'è qualcuno disposto a tutto pur di ostacolarla nella sua ricerca. Non le rimane che affidarsi a sé stessa, al suo intuito e al suo coraggio. Perché districare il groviglio di bugie e manipolazioni sarà molto, molto pericoloso.
Autore:
Clara Sánchez vive a Madrid. Ha pubblicato
alcuni romanzi inediti in Italia, ma tradotti in molti altri paesi, e ha
vinto il Premio Alfaguara nel 2000 con Últimas noticias del paraíso. Con Il profumo delle foglie di limone, in cima alle classifiche di vendita spagnole per oltre un anno, ha raggiunto la fama mondiale.
CONTENUTI EXTRA:
Giveaway: vinci il taccuino Garzanti firmato da Clara Sánchez
– Partecipa
gratis fino a martedì 19 febbraio (vedi immagine in allegato) https://apps.odylfarm.com/garzantilibri/giveaways/6479
Le prime pagine di Entra
nella mia vita – Leggi qui https://apps.odylfarm.com/garzantilibri/exclusives/7304
“I consigli di scrittura di un’autrice bestseller”
– In 5 video-pillole
Clara Sánchez svela i suoi segreti
di scrittura su Vanityfair.it
“Il piacere di leggere, il piacere di scrivere” – Intervento dell’autrice alla Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri di Venezia
di Redazione Il Libraio
(traduzione dallo spagnolo di Enrica Budetta)
Non ho molto chiaro il momento in cui imparai a leggere e scrivere, ma ci fu senz'altro un prima e un dopo rispetto alla parola scritta, che dovette arrivare intorno ai sei anni. Prima di quell'età ebbe una grande importanza una tata di nome Herminia, che era pressoché cieca, vedeva solo le ombre e i volumi, un problemino su cui i miei sorvolarono quando si trattò di affidarmi alle sue cure. Stavo bene con lei, facevamo lunghe passeggiate nei campi che circondavano la mia casa di allora. C'erano chilometri e chilometri di papaveri, pinete, farfalle, api, fiorellini azzurri, cardi mariani, l'aria era come vetro e io dovevo descrivere a Herminia proprio tutto. Le spiegavo tutti i particolari, i colori, le forme, le sfumature. Se tralasciavo qualcosa, lei se ne accorgeva. Dovevo prestare grande attenzione agli abiti di coloro che incontravamo o che venivano a trovarci a casa perché poi lei mi interrogava e ci rimaneva molto male se non poteva farsi un'idea precisa della persona in questione, per cui iniziai a inventare per riempire i buchi della mia memoria. Scoprii che potevo mettere il mio tocco personale negli abiti dei personaggi e nei loro capelli, nei loro occhi. Se non mi piaceva il colore di un vestito, ne inventavo un altro; cambiavo le scarpe, 'facevo indossare' loro dei gioielli. Se mi stavano antipatici, davo loro qualche anno in più, se mi piacevano glieli toglievo. Ai completi di mio padre aggiunsi il gilet e il guardaroba di mia madre si arricchì poco a poco. A Herminia non importava perché non li vedeva, si accontentava di ciò che le raccontavo io purché non lasciassi lacune nella sua mente. Caddi in una specie di delirio creativo: non mi bastava la realtà, mi entusiasmava mettere, togliere e verificare maliziosamente che Herminia si bevesse a tutto. Fino al giorno in cui mi scoprì. Era piena estate, gli insetti ci ronzavano intorno e l'odore di resina inondava ogni cosa. Le dissi che la collina all'orizzonte, una misera collinetta, era innevata. Innevata? esclamò lei allarmata. Fu un momento di grande tensione. Herminia aveva appena scoperto che la ingannavo e io soffrii all'idea che non mi avrebbe creduto mai più e che il gioco sarebbe finito. Perciò imparare a scrivere fu una necessità, un fatto naturale, che venne da sé. A partire da quel momento il mio pubblico si ampliò inglobando chiunque volesse ascoltarmi. Seguivo mio padre, "guarda cosa ho scritto". La mia adorata cugina Violeta, "guarda cosa ho scritto". Ero già posseduta dal veleno della vanità. Di solito scrivevo poesie e racconti. Le poesie le raccolsi in due volumi e incaricai Violeta di mostrarle al suo professore di letteratura per sapere cosa ne pensava. In un certo senso Violeta fu il mio primo agente letterario.
Per quindici giorni a settembre gran parte della mia famiglia si riuniva nella casa, nella enorme casa, dei miei nonni, Lolita e Pepe. In quelle occasioni eravamo una decina di cugini.
Lolita dormiva molto, prima e dopo pranzo, e si alzava tardi. Mio nonno le portava la colazione a letto, le massaggiava i piedini, le faceva le coccole e a volte la prendeva in braccio. Lolita era molto piccola di statura e decisamente brutta, mentre nonno Pepe era l'uomo più somigliante a Charlton Heston che abbia visto in vita mia, con gli occhi grigi, la fronte alta e una corporatura imponente. A tutt'oggi mia nonna continua a essere un mistero per me. Come poteva aver fatto innamorare in quel modo un uomo tanto speciale? E il mistero aumentò a partire da un caldo pomeriggio di settembre, all'ora della siesta, mentre i grandi dormivano e i miei cugini giocavano. In un baule, avvolto nella carta seta, trovai un libro separato da tutti gli altri libri, nascosto. Che tentazione! Dovevo avere più o meno dieci anni e di lì a poco avrei scoperto che non avevo letto ancora niente di simile.
Lolita, oltre a essere, a detta di tutti, bruttissima, tutti gli anni tarscorreva una vacanza da sola alle terme. Il suo bel marito e i figli andavano a salutarla al treno e, dopo un mese, la nonna tornava a casa con una cera migliore. Non mi sarei mai chiesta cosa facesse Lolita per un mese intero in quel posto se non avessi trovato quel romanzo avvolto nella carta seta con un titolo estremamente significativo: Le terme! Nella storia un uomo somigliante a mio nonno, ma che non era mio nonno, con infinita pazienza sbottonava a una bella donna, sbottonava dico, i mille bottoncini del vestito fino a lasciarla nuda. Evidentemente era mia nonna nuda! Quella era la donna autentica e sensuale che si nascondneva dentro la brutta Lolita e che faceva perdere la testa a mio nonno e all'amante che doveva aver incontrato alle terme e che forse le aveva regalato quel romanzo. Non mi alzai dal letto per tutto il pomeriggio, continuai a leggere anche di sera e pensarono che fossi malata. Per quanto mi riguardava ormai era stato stipulato il patto tra me e la lettura: la scoperta di chi fosse veramente Lolita era diventata la mia più grande fonte di piacere e di evasione. Poi decisi di buttarmi sui due tomi dei Miserabili di Victor Hugo, rilegati con la stoffa blu, che ancora conservo, piuttosto sgualciti, a furia di aprirli e chiuderli giorno dopo giorno per settimane.
A partire da quel momento la letteratura fu la mia seconda casa, il mio secondo universo. Credo fermamente nei mondi paralleli. Sono qui, vicino a noi, bisogna solo riuscire a vederli. E dopo aver trovato il modo di entrare, a volte bisogna solo volerlo davvero e pronunciare le parole magiche: "Apriti, Sesamo". Le porte delle librerie sono come uno Stargate, perché quando varchi la soglia, quando metti piede dall'altro lato, ti ritrovi all'improvviso in una vita alternativa dove puoi essere molte persone allo stesso tempo: un eroe, un pavido, l'amante perfetto, una donna malvagia o generosa; puoi essere padre, figlio, un'avventuriera, puoi vivere su una navicella spaziale o nel Medioevo o essere una persona normale che va e torna dal lavoro, uno come noi, che all'improvviso si vede obbligato a prendere una decisione fondamentale per la propria vita.
Come nel quadro "Las Meninas" di Velázquez, per quanto ci crediamo al sicuro, c'è sempre una porta socchiusa in fondo da dove qualcuno ci osserva.
Scrivere un romanzo è come spalancare quella porta.
Scrivere è come sognare.
Scrivere è come una droga.
Scrivere è come innamorarsi.
Mi alzo ogni mattina come se nel computer ci fosse l'uomo più affascinante del mondo, pronto a incontrarmi. Voglio ringraziare i librai italiani per il loro immenso e costante lavoro; la loro fiducia in me è come un talismano per continuare a scrivere. I librai sono la bussola che ci guida in questo mare immenso di libri e autori in cui possiamo perderci e quasi affogare. Fu nella libreria di Martín, tra cumuli di libri, fra mensole piene di sogni altrui, che trovai rifugio per continuare a vivere. Voglio ringraziare anche i lettori italiani per la loro calorosa accoglienza, i loro continui messaggi, la loro intesa con me, le loro parole generose. Non avrei mai immaginato che potesse succedermi una cosa del genere quando raccontavo a Herminia che d'estate la campagna era innevata.
Se oggi ho parlato tanto della mia famiglia è perché, senza di loro, non avrei potuto scrivere Entra nella mia vita. Ho invocato nonna Lolita, le mie zie, mia madre, i miei pacifici zii, che hanno aspirato solo a essere felici (come il Daniel del romanzo) per scrivere l'unica storia che avrei potuto scrivere in questo momento della mia vita: quella di una famiglia forte e debole, tenera e dura e piena di contraddizioni che deve combattere per riscattare la verità da un cumulo di bugie. Il romanzo è ispirato a fatti reali, che oggi vengono giudicati nei tribunali spagnoli e in cui sono coinvolti madri, nonne, suore, medici e figli e figlie che hanno scoperto da poco di avere un'altra famiglia.
Ho voluto scrivere una storia contro i tempi che viviamo, una storia in cui i personaggi combattono per amore e non per smania di possesso.
(traduzione dallo spagnolo di Enrica Budetta)
Non ho molto chiaro il momento in cui imparai a leggere e scrivere, ma ci fu senz'altro un prima e un dopo rispetto alla parola scritta, che dovette arrivare intorno ai sei anni. Prima di quell'età ebbe una grande importanza una tata di nome Herminia, che era pressoché cieca, vedeva solo le ombre e i volumi, un problemino su cui i miei sorvolarono quando si trattò di affidarmi alle sue cure. Stavo bene con lei, facevamo lunghe passeggiate nei campi che circondavano la mia casa di allora. C'erano chilometri e chilometri di papaveri, pinete, farfalle, api, fiorellini azzurri, cardi mariani, l'aria era come vetro e io dovevo descrivere a Herminia proprio tutto. Le spiegavo tutti i particolari, i colori, le forme, le sfumature. Se tralasciavo qualcosa, lei se ne accorgeva. Dovevo prestare grande attenzione agli abiti di coloro che incontravamo o che venivano a trovarci a casa perché poi lei mi interrogava e ci rimaneva molto male se non poteva farsi un'idea precisa della persona in questione, per cui iniziai a inventare per riempire i buchi della mia memoria. Scoprii che potevo mettere il mio tocco personale negli abiti dei personaggi e nei loro capelli, nei loro occhi. Se non mi piaceva il colore di un vestito, ne inventavo un altro; cambiavo le scarpe, 'facevo indossare' loro dei gioielli. Se mi stavano antipatici, davo loro qualche anno in più, se mi piacevano glieli toglievo. Ai completi di mio padre aggiunsi il gilet e il guardaroba di mia madre si arricchì poco a poco. A Herminia non importava perché non li vedeva, si accontentava di ciò che le raccontavo io purché non lasciassi lacune nella sua mente. Caddi in una specie di delirio creativo: non mi bastava la realtà, mi entusiasmava mettere, togliere e verificare maliziosamente che Herminia si bevesse a tutto. Fino al giorno in cui mi scoprì. Era piena estate, gli insetti ci ronzavano intorno e l'odore di resina inondava ogni cosa. Le dissi che la collina all'orizzonte, una misera collinetta, era innevata. Innevata? esclamò lei allarmata. Fu un momento di grande tensione. Herminia aveva appena scoperto che la ingannavo e io soffrii all'idea che non mi avrebbe creduto mai più e che il gioco sarebbe finito. Perciò imparare a scrivere fu una necessità, un fatto naturale, che venne da sé. A partire da quel momento il mio pubblico si ampliò inglobando chiunque volesse ascoltarmi. Seguivo mio padre, "guarda cosa ho scritto". La mia adorata cugina Violeta, "guarda cosa ho scritto". Ero già posseduta dal veleno della vanità. Di solito scrivevo poesie e racconti. Le poesie le raccolsi in due volumi e incaricai Violeta di mostrarle al suo professore di letteratura per sapere cosa ne pensava. In un certo senso Violeta fu il mio primo agente letterario.
Per quindici giorni a settembre gran parte della mia famiglia si riuniva nella casa, nella enorme casa, dei miei nonni, Lolita e Pepe. In quelle occasioni eravamo una decina di cugini.
Lolita dormiva molto, prima e dopo pranzo, e si alzava tardi. Mio nonno le portava la colazione a letto, le massaggiava i piedini, le faceva le coccole e a volte la prendeva in braccio. Lolita era molto piccola di statura e decisamente brutta, mentre nonno Pepe era l'uomo più somigliante a Charlton Heston che abbia visto in vita mia, con gli occhi grigi, la fronte alta e una corporatura imponente. A tutt'oggi mia nonna continua a essere un mistero per me. Come poteva aver fatto innamorare in quel modo un uomo tanto speciale? E il mistero aumentò a partire da un caldo pomeriggio di settembre, all'ora della siesta, mentre i grandi dormivano e i miei cugini giocavano. In un baule, avvolto nella carta seta, trovai un libro separato da tutti gli altri libri, nascosto. Che tentazione! Dovevo avere più o meno dieci anni e di lì a poco avrei scoperto che non avevo letto ancora niente di simile.
Lolita, oltre a essere, a detta di tutti, bruttissima, tutti gli anni tarscorreva una vacanza da sola alle terme. Il suo bel marito e i figli andavano a salutarla al treno e, dopo un mese, la nonna tornava a casa con una cera migliore. Non mi sarei mai chiesta cosa facesse Lolita per un mese intero in quel posto se non avessi trovato quel romanzo avvolto nella carta seta con un titolo estremamente significativo: Le terme! Nella storia un uomo somigliante a mio nonno, ma che non era mio nonno, con infinita pazienza sbottonava a una bella donna, sbottonava dico, i mille bottoncini del vestito fino a lasciarla nuda. Evidentemente era mia nonna nuda! Quella era la donna autentica e sensuale che si nascondneva dentro la brutta Lolita e che faceva perdere la testa a mio nonno e all'amante che doveva aver incontrato alle terme e che forse le aveva regalato quel romanzo. Non mi alzai dal letto per tutto il pomeriggio, continuai a leggere anche di sera e pensarono che fossi malata. Per quanto mi riguardava ormai era stato stipulato il patto tra me e la lettura: la scoperta di chi fosse veramente Lolita era diventata la mia più grande fonte di piacere e di evasione. Poi decisi di buttarmi sui due tomi dei Miserabili di Victor Hugo, rilegati con la stoffa blu, che ancora conservo, piuttosto sgualciti, a furia di aprirli e chiuderli giorno dopo giorno per settimane.
A partire da quel momento la letteratura fu la mia seconda casa, il mio secondo universo. Credo fermamente nei mondi paralleli. Sono qui, vicino a noi, bisogna solo riuscire a vederli. E dopo aver trovato il modo di entrare, a volte bisogna solo volerlo davvero e pronunciare le parole magiche: "Apriti, Sesamo". Le porte delle librerie sono come uno Stargate, perché quando varchi la soglia, quando metti piede dall'altro lato, ti ritrovi all'improvviso in una vita alternativa dove puoi essere molte persone allo stesso tempo: un eroe, un pavido, l'amante perfetto, una donna malvagia o generosa; puoi essere padre, figlio, un'avventuriera, puoi vivere su una navicella spaziale o nel Medioevo o essere una persona normale che va e torna dal lavoro, uno come noi, che all'improvviso si vede obbligato a prendere una decisione fondamentale per la propria vita.
Come nel quadro "Las Meninas" di Velázquez, per quanto ci crediamo al sicuro, c'è sempre una porta socchiusa in fondo da dove qualcuno ci osserva.
Scrivere un romanzo è come spalancare quella porta.
Scrivere è come sognare.
Scrivere è come una droga.
Scrivere è come innamorarsi.
Mi alzo ogni mattina come se nel computer ci fosse l'uomo più affascinante del mondo, pronto a incontrarmi. Voglio ringraziare i librai italiani per il loro immenso e costante lavoro; la loro fiducia in me è come un talismano per continuare a scrivere. I librai sono la bussola che ci guida in questo mare immenso di libri e autori in cui possiamo perderci e quasi affogare. Fu nella libreria di Martín, tra cumuli di libri, fra mensole piene di sogni altrui, che trovai rifugio per continuare a vivere. Voglio ringraziare anche i lettori italiani per la loro calorosa accoglienza, i loro continui messaggi, la loro intesa con me, le loro parole generose. Non avrei mai immaginato che potesse succedermi una cosa del genere quando raccontavo a Herminia che d'estate la campagna era innevata.
Se oggi ho parlato tanto della mia famiglia è perché, senza di loro, non avrei potuto scrivere Entra nella mia vita. Ho invocato nonna Lolita, le mie zie, mia madre, i miei pacifici zii, che hanno aspirato solo a essere felici (come il Daniel del romanzo) per scrivere l'unica storia che avrei potuto scrivere in questo momento della mia vita: quella di una famiglia forte e debole, tenera e dura e piena di contraddizioni che deve combattere per riscattare la verità da un cumulo di bugie. Il romanzo è ispirato a fatti reali, che oggi vengono giudicati nei tribunali spagnoli e in cui sono coinvolti madri, nonne, suore, medici e figli e figlie che hanno scoperto da poco di avere un'altra famiglia.
Ho voluto scrivere una storia contro i tempi che viviamo, una storia in cui i personaggi combattono per amore e non per smania di possesso.
“I bambini rubati di Clara Sánchez” – Intervista su Repubblica.it
"Ecco la mia bomba dei sentimenti"
La scrittrice spagnola, autrice di "Il profumo delle foglie di limone", presenta il suo nuovo romanzo, "Entra nella mia vita". Ispirato alla vera vicenda di un traffico di neonati. Verità nascoste, istinti, passioni e un difficile rapporto madre-figlia
di MARIO DE SANTIS
VERONICA ha dieci anni e guarda una foto in cui è
ritratta una bambina come lei. Perché i suoi genitori la conservano in
una cartellina ma non ne parlano mai? Chi è quella bimba? L'isitinto le
suggerisce di non fare domande, ma pure le consegna un rovello che non
l'abbandonerà mai. Da quel momento sorveglierà ogni parola e ogni
sguardo dei suoi genitori alla ricerca di una traccia. Quando poi sarà
grande, questo istinto la spingerà a rompere gli indugi: c'è un segreto
che lega la sua famiglia a quella bambina? Ora che la madre è malata, se
c'è un segreto andrà svelato.
L'ultimo romanzo di Clara Sanchez, autrice spagnola ormai di casa in Italia, si intitola Entra nella mia vita, pubblicato da Garzanti come i tre precedenti, compreso il bestseller Il profumo delle foglie di limone con cui ha conquistato grande popolarità - un milione di copie vendute. Anche in questo caso una storia di svelamento di verità nascoste, istinti e ostinazioni e legami d'amore. Ma pure di dolore e ingiustizie, a cominciare da quelle che in Spagna venivano commesse in nome di un malinteso senso dell'amore: ovvero le adozioni clandestine fatte sottraendo con l'inganno dei neonati nelle cliniche dove partorivano ragazze madri sole e prive di sostegno.
Signora Sanchez, la storia raccontata in Entra nella mia vita è ispirata a fatti veri, che non sono tra l'altro casi isolati.
"In Spagna all'inizio questa storia sembrava una leggenda, ne avevo sentito parlare quando era nata mia figlia Julia, intorno agli anni Ottanta, ma nessuno ci credeva. Quando fu scoperta, per la società spagnola fu uno shock. Sono venute fuori anche le famiglie e le vittime dei bambini rubati e hanno potuto chiedere giustizia, sono nate delle associazioni e i responsabili sono finiti in tribunale. A cominciare da una suora, alla quale mi sono ispirata per il personaggio di suor Maria, che assieme a tanti medici e infermieri aveva organizzato una tratta di bambini. Accadde durante la Guerra civile ma anche dopo, fino al Duemila. Poteva succedere a chiunque, anche a me che ho partorito in una di quelle cliniche".
Che cosa l'ha colpita di più di questa storia?
"La vicenda mi ha colpito come madre, come cittadina e come scrittrice perché raccontarla mi permetteva di creare una 'bomba dei sentimenti'. Mi interessava capire che cosa accade tra una madre e una figlia che si conoscono quando la figlia ha vent'anni: si baciano eppure sono due estranee, non possono cominciare ad amarsi né possono smettere di considerare come propria quella che fino al giorno prima era la loro famiglia".
Veronica, la protagonista del romanzo, fin da bambina è animata da questa volontà di scoprire la verità fino a trasformarsi in una vera e propria detective.
"Veronica cresce con una grande rabbia dentro. Da quando ha dieci anni capisce che la sua famiglia è appesantita da un segreto e meno felice di quanto potrebbe. Le mezze verità formano l'identità ribelle di chi non è disposto ad accettare lo stato di cose. Sua madre Betty ha lottato per cercare la verità ma lo ha fatto in silenzio e si è fermata sulla soglia della rivelazione, per paura e per amore verso la sua presunta figlia Laura. Fino a che punto è giusto sconvolgere la vita di una persona, seppure con la verità? Veronica raccoglie senza remore il testimone di questa ricerca, vuole andare fino in fondo, animata da un sentimento di vendetta: l'infelicità nella quale sua madre è vissuta è un'ingiustizia. La verità sarà il riscatto di chi ha sofferto".
Possiamo dire che Veronica e Laura, le due giovani donne sorelle, si ribellano rispetto alle scelte della madre. Ha voluto marcare un conflitto generazionale?
"Si, assolutamente. Tutti dobbiamo ribellarci ai nostri padri, ai genitori, a tutti quelli che cercano di esercitare una forma di potere su di noi. Certe volte si creano dei rapporti vampireschi dentro ai quali noi genitori alleviamo i figli inculcando in loro il nostro modo di vedere la vita. Ribellarsi è un'esigenza profonda della vita, significa progredire, evolversi. I casi di di Laura e Veronica però sono diversi. Laura scopre di essere stata ingannata e si ribella a chi lo ha fatto, la sua presunta madre innanzitutto. Veronica si ribella a una situazione e a un atteggiamento di sua madre, ma non ha bisogno, come Laura, di fuggire in modo fisico dalla sua famiglia.
Il romanzo racconta lo svelamento di una vita falsa. Possiamo leggerlo come la metafora di un paese, la Spagna, che si è accorta di aver vissuto al di sopra delle proprie possibilità finanziarie?
"In Spagna forse quelli che hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità sono stati i ricchi, alle persone normali non è arrivato nulla di questa ricchezza che ora è esplosa come una bolla. Credo che questo sia un luogo comune cattivo nei confronti della Spagna. Nel mio paese c'è un cambiamento dei valori che sta distruggendo le strutture della sanità, della scuola, e la rete del welfare. I cambiamenti fanno sì che i ricchi diventino ancora più ricchi e i poveri ancora più poveri. Piuttosto il romanzo è l'espressione di un sentimento ancora più profondo: la totale perdita della fiducia verso la classe politica e più in generale nei riguardi delle istituzioni pubbliche. Noi paghiamo le tasse e pensiamo che lo Stato debba proteggerci, invece spesso ci sentiamo ingannati. Nel mio romanzo sono soprattutto Betty, Veronica e la sua famiglia a sentirsi truffati da categorie come i medici pubblici, le suore, la Chiesa. Ma ripeto, è una sciocchezza dire che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità. Mi sembra un'espressione antipatica che riflette un pregiudizio verso i paesi del sud".
L'ultimo romanzo di Clara Sanchez, autrice spagnola ormai di casa in Italia, si intitola Entra nella mia vita, pubblicato da Garzanti come i tre precedenti, compreso il bestseller Il profumo delle foglie di limone con cui ha conquistato grande popolarità - un milione di copie vendute. Anche in questo caso una storia di svelamento di verità nascoste, istinti e ostinazioni e legami d'amore. Ma pure di dolore e ingiustizie, a cominciare da quelle che in Spagna venivano commesse in nome di un malinteso senso dell'amore: ovvero le adozioni clandestine fatte sottraendo con l'inganno dei neonati nelle cliniche dove partorivano ragazze madri sole e prive di sostegno.
Signora Sanchez, la storia raccontata in Entra nella mia vita è ispirata a fatti veri, che non sono tra l'altro casi isolati.
"In Spagna all'inizio questa storia sembrava una leggenda, ne avevo sentito parlare quando era nata mia figlia Julia, intorno agli anni Ottanta, ma nessuno ci credeva. Quando fu scoperta, per la società spagnola fu uno shock. Sono venute fuori anche le famiglie e le vittime dei bambini rubati e hanno potuto chiedere giustizia, sono nate delle associazioni e i responsabili sono finiti in tribunale. A cominciare da una suora, alla quale mi sono ispirata per il personaggio di suor Maria, che assieme a tanti medici e infermieri aveva organizzato una tratta di bambini. Accadde durante la Guerra civile ma anche dopo, fino al Duemila. Poteva succedere a chiunque, anche a me che ho partorito in una di quelle cliniche".
Che cosa l'ha colpita di più di questa storia?
"La vicenda mi ha colpito come madre, come cittadina e come scrittrice perché raccontarla mi permetteva di creare una 'bomba dei sentimenti'. Mi interessava capire che cosa accade tra una madre e una figlia che si conoscono quando la figlia ha vent'anni: si baciano eppure sono due estranee, non possono cominciare ad amarsi né possono smettere di considerare come propria quella che fino al giorno prima era la loro famiglia".
Veronica, la protagonista del romanzo, fin da bambina è animata da questa volontà di scoprire la verità fino a trasformarsi in una vera e propria detective.
"Veronica cresce con una grande rabbia dentro. Da quando ha dieci anni capisce che la sua famiglia è appesantita da un segreto e meno felice di quanto potrebbe. Le mezze verità formano l'identità ribelle di chi non è disposto ad accettare lo stato di cose. Sua madre Betty ha lottato per cercare la verità ma lo ha fatto in silenzio e si è fermata sulla soglia della rivelazione, per paura e per amore verso la sua presunta figlia Laura. Fino a che punto è giusto sconvolgere la vita di una persona, seppure con la verità? Veronica raccoglie senza remore il testimone di questa ricerca, vuole andare fino in fondo, animata da un sentimento di vendetta: l'infelicità nella quale sua madre è vissuta è un'ingiustizia. La verità sarà il riscatto di chi ha sofferto".
Possiamo dire che Veronica e Laura, le due giovani donne sorelle, si ribellano rispetto alle scelte della madre. Ha voluto marcare un conflitto generazionale?
"Si, assolutamente. Tutti dobbiamo ribellarci ai nostri padri, ai genitori, a tutti quelli che cercano di esercitare una forma di potere su di noi. Certe volte si creano dei rapporti vampireschi dentro ai quali noi genitori alleviamo i figli inculcando in loro il nostro modo di vedere la vita. Ribellarsi è un'esigenza profonda della vita, significa progredire, evolversi. I casi di di Laura e Veronica però sono diversi. Laura scopre di essere stata ingannata e si ribella a chi lo ha fatto, la sua presunta madre innanzitutto. Veronica si ribella a una situazione e a un atteggiamento di sua madre, ma non ha bisogno, come Laura, di fuggire in modo fisico dalla sua famiglia.
Il romanzo racconta lo svelamento di una vita falsa. Possiamo leggerlo come la metafora di un paese, la Spagna, che si è accorta di aver vissuto al di sopra delle proprie possibilità finanziarie?
"In Spagna forse quelli che hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità sono stati i ricchi, alle persone normali non è arrivato nulla di questa ricchezza che ora è esplosa come una bolla. Credo che questo sia un luogo comune cattivo nei confronti della Spagna. Nel mio paese c'è un cambiamento dei valori che sta distruggendo le strutture della sanità, della scuola, e la rete del welfare. I cambiamenti fanno sì che i ricchi diventino ancora più ricchi e i poveri ancora più poveri. Piuttosto il romanzo è l'espressione di un sentimento ancora più profondo: la totale perdita della fiducia verso la classe politica e più in generale nei riguardi delle istituzioni pubbliche. Noi paghiamo le tasse e pensiamo che lo Stato debba proteggerci, invece spesso ci sentiamo ingannati. Nel mio romanzo sono soprattutto Betty, Veronica e la sua famiglia a sentirsi truffati da categorie come i medici pubblici, le suore, la Chiesa. Ma ripeto, è una sciocchezza dire che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità. Mi sembra un'espressione antipatica che riflette un pregiudizio verso i paesi del sud".
(30 gennaio 2013)
MOLTO INTERESSANTE SIA IL LIBRO CHE I CONTENUTI EXTRA E LE INTERVISTE.
VOI COSA NE PENSATE?
SE AVETE LETTO QUESTO LIBRO COSA MI DITE??
Ho letto gli altri due libri della Sanchez e non mi è dispiaciuto leggerli. Non sono una lettura tanto impegnativa però sono comunque letture molto piacevoli! Sono curioso di leggere anche questo terzo libro! ;) Molto belli e interessanti anche i contenuti extra! :D
RispondiEliminaA presto!
PS: Anch'io ho un blog che parla di libri! :D Ti lascio il link: http://libri-ehr.blogspot.it/